Nel corso degli anni la definizione di lavoro accessorio si è continuamente modificata, visto che ne tempo i limiti economici e di applicazione hanno subito delle mutazioni. Cerchiamo di capire quindi cosa si intende oggi per lavoro accessorio, come funziona, che tipo di contratto è previsto e cosa dice la normativa in questo ambito.
Cos\’è il lavoro accessorio e come funziona
Fino al marzo del 2017 un committente, per la sua attività o per esigenze in ambito familiare, aveva la possibilità di beneficiare delle prestazioni di un lavoratore con costi ridotti e adempimenti burocratici più snelli. Per poterlo fare, gli bastava acquistare preventivamente i cosiddetti voucher o buoni lavoro; la commissione lavorativa veniva poi dichiarata attraverso dei canali specifici e il prestatore veniva pagato con i buoni. Ogni voucher aveva un valore nominale lordo di 10 euro e rappresentava la paga minima per ogni ora di lavoro (ad eccezione per il settore agricolo, per il quale si fa riferimento alla retribuzione oraria previsto dal contratto collettivo per le prestazioni di natura subordinata).
Il buono da 10 euro includeva la contribuzione previdenziale alla Gestione Separata (1,30 euro), la copertura assicurativa INAIL (0,70 euro) e il compenso per il concessionario (0,50 centesimi). Al prestatore rimaneva quindi un netto di 7,50 euro. L\’utilizzo dei buoni era consentito fino ad un massimo di 7.000 euro netti all\’anno per ogni lavoratore (quindi 9,330 euro lordi). Il limite scendeva a 2.000 euro netti se il committente era un professionista o un imprenditore (anche se la legge prevedeva una serie di eccezioni). Ma quanto detto finora non vale più: come detto, i buoni lavoro non esistono più e dal giungo del 2017 il contratto di lavoro accessorio è stato sostituito dal contratto di prestazione occasionale.
Dal lavoro accessorio al contratto di prestazione occasionale: come cambia la normativa
Le nuove regole sono più stringenti: l\’obiettivo è quello di limitare i ricorso distorto ed elusivo a questo tipo di prestazione. Nel corso dell\’anno civile, quindi tra il primo gennaio e il 31 dicembre, i contratti attivabili per ogni utilizzatore non possono superare i 5.000 euro netti; lo stesso limite è fissato per il valore complessivo dei contratti per prestazione occasionale sottoscritto da ciascun lavoratore. Come nel caso del lavoro accessorio, i compensi che vengono percepiti dal lavoratore sono esenti da imposizione fiscale, non vanno ad incidere sullo status di disoccupato e vengono contati per la determinazione del reddito necessario ai fini del rilascio o del rinnovo del permesso di soggiorno.
La normativa fa una distinzione tra il Libretto di Famiglia e il contratto di prestazione occasionale. Il primo può essere usato per esigenze quotidiane, al di fuori dell\’attività di impresa o professionale, e può essere utilizzato solo dalle persone fisiche; può essere usato per lavori domestici, assistenza domiciliare e insegnamento privato supplementare. Il Libretto Famiglia si compra dall\’apposita piattaforma INPS: ogni titolo ha un valore di 10 euro lordi e comprende la contribuzione previdenziale ed assicurativa (il valore netto quindi è di 8 euro). Impiegando i canali telematici, l\’utilizzatore deve comunicare all\’INPS i dati del prestatore, il compenso previsto e la durata del lavoro.
I contratti di prestazione occasionale invece possono essere utilizzati dalle microimprese con massimo cinque dipendenti a tempo indeterminato, dalle aziende alberghiere e le strutture ricettive con massimo otto lavoratori, dalle aziende agricole con massimo cinque dipendenti e, in alcuni casi, dalle amministrazioni pubbliche. I contratti di prestazione occasionali hanno una modalità di attivazione semplificata, completamente telematica, che si svolge interamente tramite il sito dell\’INPS. Il compenso orario minimo previsto è di 9 euro netti (quindi 12,37 euro lordi); per le prestazioni che prevedono una durata inferiore alle quattro ore continuative il compenso non può essere inferiore ai 36 euro.