La professione del personal trainer sta prendendo sempre più piede nel nostro tessuto economico, ciò che prima era prerogativa esclusiva dei cosiddetti vip oggi è entrato a far parte delle normali figure specializzate che seguono le nostre attività fisiche aiutandoci a compiere al meglio gli esercizi senza rischiare di correre gli inutili pericoli tipici degli allenamenti fai da te.
Un buon personal trainer è laureato in scienze motorie, ha competenze in ambito medico (in particolare riguardo alimentazione e tecniche di pronto soccorso) ed è in grado di svolgere il proprio lavoro sia in contesti aperti (palestre, centri ricreativi e di vacanza, gruppi di fitness) che isolati (allenamenti singoli in casa, presso la propria sede o sessioni private in palestre per cui si collabora).
Per sua natura il lavoro del personal trainer, dove non si configura un rapporto di tipo determinato o indeterminato, si inquadra fiscalmente nel novero delle partite IVA visto che presta la propria opera autonomamente e, di solito, rivolge la propria attenzione a più di un cliente. È preferibile che il personal trainer apra la partita IVA come libero professionista, questo gli garantirà, a livello di previdenza sociale, la possibilità di iscriversi alla gestione separata con aliquote fissate al 25,72% mentre la normale gestione Inps prevede un minimale di 3.682,99 euro più il 23,64 % sugli imponibili da 15.548 euro a 46.123 euro ed il 24,64% sui redditi eccedenti.
Resta da stabilire quale sia il regime più utile a cui aderire per chi volesse intraprendere un’attività del genere nel 2018. Le partite IVA generalmente possono sottostare a diversi regimi fiscali: ordinario, forfettario, start-up e così via. Ma per quello che riguarda la professione di personal trainer il ventaglio della scelta è sostanzialmente limitato a due sole opzioni: regime ordinario e forfettario. Il regime ordinario è quello standard che prevede il pagamento dell’IVA, dello scaglione irpef inerente il reddito dichiarato, la registrazione delle scritture contabili ed il pagamento delle quote Inps.
Il regime forfettario invece garantisce l’esenzione da questi obblighi con una tassazione sul reddito irpef al quindici percento, fermo restando il pagamento delle quote inps. Poter far parte del regime forfettario comporta però un limite molto importante: non si può superare il guadagno fissato dalla legge di stabilità del 2016 che, per l’attività di personal trainer, è di trentamila euro. Risulta evidente dunque che il discrimine principale a cui è legata la scelta è proprio la previsione degli introiti che si pensa di generare.
Se il personal trainer si accinge ad aprire una partita IVA vuol dire che non è soddisfatto del lavoro dipendente che gli può offrire una palestra o un centro fitness. Evidentemente il professionista ha intenzione di gestire autonomamente i propri clienti. Generalmente un’ora di lezione con il personal trainer ha un costo che si aggira dai trenta ai sessanta euro (il costo varia parecchio da città a città e da nord a sud).
Se la moltiplicazione tra la tariffa applicata ed il numero e l’assiduità dei clienti porta a pensare che facilmente si supererà la fatidica soglia dei trentamila euro diventa allora obbligatorio seguire il regime ordinario, altrimenti quello forfettario resta il regime prediletto anche se si precisa che nel conteggio da effettuare prima di scegliere a quale regime aderire, non va dimenticato che nel forfettario nessun costo sostenuto è deducibile e dunque tutto quanto incassato concorre al raggiungimento della soglia di trentamila euro.
In buona sostanza il regime forfettario è sicuramente da preferire in fase di apertura, con la crescita della propria attività sarà conseguente un cambio di rotta. Non è affatto un male visto che ciò significa che il lavoro sta andando a gonfie vele ed il numero di clienti e di lezioni effettuate non smette di crescere.